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Le tendenze monetarie del G7 fanno sperare in un alleggerimento dell'inflazione nel 2023-24

Simon Ward

Simon Ward

Economic Advisor


22 aprile 2022

I dati dell'IPC di marzo a livello globale hanno per lo più sorpreso al rialzo (di nuovo), ma le tendenze monetarie e altre riflessioni continuano a far presagire un significativo alleggerimento del rincaro prezzi nel biennio 2023-24.

L'inflazione annua IPC relativa ai paesi G7 ha toccato quota 6,8%* a marzo, registrando così la crescita più rapida dal 1982.

Un articolo pubblicato a settembre 2020 ha illustrato una previsione “monetarista” in base alla quale l'inflazione dei paesi G7 si attesterebbe in media al 4-5% annuo nel periodo 2021-22, vale a dire tra il 4° trimestre 2020 e il 4° trimestre 2022. La crescita della massa monetaria nel 2° semestre 2020/2021 è risultata più rapida del previsto rispetto a quanto illustrato nel suddetto articolo, e un risultato prossimo all'intervallo del 5-5,5% appare ormai probabile. (l'inflazione annua dell'indice IPC si è attestata al 4,9% nel 4° trimestre 2021 e una flessione dal livello attuale è verosimile che si osservi nell'arco del 2022, in parte come riflesso degli effetti di base dei prezzi relativi alle materie prime).

L'attuale impennata dell'inflazione rispecchia un forte incremento della crescita della massa monetaria nel 2020 – la crescita in senso ampio della massa monetaria annuale riferita ai paesi del G7* è aumentata dal 6,2% nel febbraio 2020 al 16,9% del mese di giugno, con un picco al 17,3% toccato a febbraio 2021. Questo incremento è ora quasi interamente annullato, alla luce di una crescita annuale stimata al di sotto del 7% a marzo – come si osserva nel grafico 1.

La crescita annualizzata a tre mesi è scesa a circa il 4%, prossima quindi alla media registrata nei cinque anni antecedenti alla pandemia - grafico 2.

La crescita in senso ampio della massa monetaria è rallentata in misura superiore rispetto ai periodi che hanno seguito un'analoga impennata nei primi anni '70. La crescita annua della massa monetaria segnò il suo punto minimo sopra la soglia del 10%, salvo poi risalire nettamente con una conseguente tenuta della crescita dei prezzi a livelli elevati, prima di toccare un secondo picco negli anni '80.

Un'espansione costante della base monetaria in senso ampio pari al 4% sarebbe in linea con un rientro dei tassi di inflazione verso il target della Fed, sebbene verosimilmente non prima del 2024.

La crescita della massa monetaria darà il via a un rimbalzo in stile anni '70? Come accennato in precedenza, il rimbalzo osservato negli anni '70 fu innescato dalle autorità di politica monetaria, le quali allentarono le briglie sul fronte monetario mentre le economie subivano un rallentamento. Soltanto di recente le banche centrali hanno adottato un orientamento restrittivo di politica monetaria, motivo per cui l'inversione di rotta è disseminata di ostacoli.

La riduzione dell'aggregato monetario ampio riflette in parte la riduzione del QE, lasciando presagire un ulteriore rallentamento in caso di implementazione dei piani di stretta quantitativa (Quantitative Tightening). La proposta di ridurre il portafoglio titoli della Fed in una misura pari a 95 miliardi di dollari al mese equivale allo 0,35% dell'aggregato monetario ampio degli Stati Uniti. L'impatto negativo effettivo sarà meno significativo del previsto per una serie di fattori: i mancati acquisti della Fed verosimilmente saranno in parte controbilanciati da un aumento del portafoglio titoli delle banche commerciali (rispetto a uno scenario in cui la stretta quantitativa non si materializza), con un effetto neutrale sulla base monetaria in senso ampio. Un'ipotesi ragionevole delinea un "moltiplicatore" pari allo 0,5, vale a dire un freno alla base monetaria USA in senso ampio pari allo 0,175% al mese o del 2,1% nell'arco di un anno. Questa misura ridurrebbe di 1,1 punti percentuali la crescita annua della base monetaria in senso ampio riferita ai paesi del G7.

In un contesto in cui le misure delle banche centrali si avviano a imprimere un impatto negativo, un rimbalzo della crescita della massa monetaria dipende dalla solidità “endogena” dei prestiti bancari al settore privato. Questa prospettiva continua ad accendere il dibattito tra gli economisti monetari. Le voci "Ottimiste" sottolineano una decisa ripresa dei prestiti negli ultimi mesi: la crescita annuale dei prestiti riferita ai paesi G7, corretta per le erogazioni/condoni del programma di protezione degli stipendi (PPP) USA, è stata stimata al 6% nel mese di marzo, che equivale alla crescita mensile più rapida osservata nel periodo 2009-2019. Il dubbio è che tale solidità rifletta in parte il ciclo di costituzione delle scorte, ormai prossimo al picco, mentre i recenti rialzi dei rendimenti porranno un freno alla domanda di prestiti per l'acquisto di case.

Le indagini condotte dai funzionari addetti ai prestiti delle banche centrali sono utili per sondare le prospettive. La prossima indagine della Fed è prevista per l'inizio di maggio, ma il sondaggio della BCE pubblicato la scorsa settimana ha evidenziato sia una stretta sul fronte degli standard creditizi che un indebolimento della domanda, lasciando presagire in prospettiva un'inversione di rotta della recente ripresa osservata sul lato della crescita dei prestiti – grafico 3.

La previsione monetaria circa un alleggerimento dell'inflazione nel periodo 2023-24 è supportata da stime che indicano una prossima contrazione del ciclo di costituzione delle scorte, della durata pari a 12-18 mesi. Il ciclo è correlato alla dinamica dei prezzi delle materie prime industriali, che sembra aver raggiunto il picco – grafico 4. Le criticità sul lato dell'offerta potrebbero limitare la contrazione, tuttavia il cuneo tra l'inflazione complessiva e quella core riferita ai paesi G7 (ovvero, quella che esclude le i prezzi energetici e alimentari) – attualmente pari a 2,5 punti percentuali – potrebbe verosimilmente ridursi in modo significativo nel 2° semestre 2022 per poi diventare negativo nel 2023.

Un fattore «tecnico» che promette di alleggerire l'IPC è la riconvergenza prospettica dei prezzi al consumo e alla produzione dei veicoli, nel momento in cui si attenueranno i vincoli di approvvigionamento. Negli Stati Uniti, l'IPC riferito ai veicoli dovrebbe diminuire del 17% per eliminare la divergenza post-pandemica con il suo equivalente indice dei prezzi alla produzione (PPI) – grafico 5. Una ripresa del PPI potrebbe in parte supportare un riallineamento, ma l'indice IPC dei veicoli potrebbe plausibilmente calare del 10%, un movimento che costituisce un freno pari allo 0,9% posto sull'indice complessivo.Un effetto più contenuto ma sempre significativo è ipotizzabile anche in altri settori.

US motor vehicle Prices in CPI/ PPI
*Calcoli proprietari ottenuti utilizzando delle ponderazioni del PIL.

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