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La decarbonizzazione è un’opportunità per i mercati emergenti?

Paul LaCoursiere

Paul LaCoursiere

Responsabile globale degli investimenti ESG


10 nov 2021

In sintesi

  • I mercati emergenti devono affrontare sfide completamente diverse rispetto alle economie sviluppate. Molti stanno ancora lottando con il COVID, il che rende difficile pensare alla transizione verso un futuro a zero emissioni nette. Un problema fondamentale è la necessità di meccanismi di finanziamento decisamente più efficaci per consentire ai mercati emergenti di attuare la transizione verso lo zero netto.
  • Le obbligazioni verdi offrono un premio rispetto alle obbligazioni convenzionali con caratteristiche simili, riconducibile ai minori costi di finanziamento per gli emittenti di green bond concepiti per sostenere specifici progetti ambientali o legati al clima. Tuttavia, ciò è stato riscontrato regolarmente solo per le obbligazioni sostenibili dei mercati sviluppati, in particolare in Germania.
  • Per combattere e finanziare il cambiamento climatico è necessaria un'azione politica che supporti e consenta di attuare il meccanismo, in particolare per i mercati emergenti. I governi hanno un ruolo chiaro da svolgere nella transizione energetica e dovrebbero presumibilmente creare il quadro e la strategia necessari.
  • Il settore energetico fa parte del problema del cambiamento climatico - data la dipendenza di molti mercati emergenti dai combustibili fossili - e della soluzione. Per esempio, in Cile il 77% delle emissioni di gas a effetto serra è riconducibile al settore energetico. Tuttavia, il settore contribuirà a gestire il cambiamento climatico, in particolare tramite l'eolico e il solare, e offrirà opportunità sociali ed economiche al Paese. Considerando in senso lato i mercati emergenti, dove i sistemi elettrici non sono ben sviluppati, la tesi a favore delle energie rinnovabili è convincente.
  • Per superare l'utilizzo di asset a emissioni elevate e passare alle energie rinnovabili, sono necessari piani di transizione energetica credibili. In determinate aree geografiche alcune aziende soffrono a causa di disservizi di rete, il che significa che è più economico chiudere gli asset a emissioni elevate e sostituirli con asset rinnovabili. Al momento di dismettere asset a emissioni elevate, è essenziale che i team manageriali delle aziende si chiedano: a chi stiamo vendendo gli asset? Come gestiranno gli asset? Qual è il loro approccio alla corporate governance? Quali sono gli standard ambientali in base ai quali saranno di fatto gestiti?
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Elenco dei relatori

PL – Paul LaCoursiere, Head of ESG Investments at Janus Henderson

NS – Dr Nina Seega, Research Director at the Cambridge Institute of Sustainable Leadership (CISL)

KT – Krista Tukiainen, Head of Research, Climate Bonds Initiative (CBI)

FL – Francisco Javier López, Energy Under Secretary, Chile

MC – Mark Cutifani, Chief Executive Officer, Anglo American Plc

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PL: Bene. Porgo a tutti il benvenuto. Prima di tutto desidero condividere un'osservazione personale. Questa è la mia prima conferenza post-pandemia in cui mi trovo fisicamente in una sala con persone reali. È molto bello vedervi tutti di persona anziché in piccoli riquadri su Zoom. Vi sono però due eccezioni, che spiegherò tra poco, ma è bello essere qui. A questo punto, benvenuti.

Il nostro panel di oggi ha come tema "La decarbonizzazione è un'opportunità per i mercati emergenti?". E Janus Henderson è molto lieta di ospitare questo panel in collaborazione con il Cambridge University Institute for Sustainability. Inizierò presentando i membri del panel e poi illustrerò un po' il contesto prima di aprire formalmente la discussione.

Innanzitutto, vorrei dare il benvenuto alla Dottoressa Nina Seega, Direttore della Ricerca presso il co-organizzatore di questo evento. Grazie mille per essere qui. In questa sala abbiamo anche Krista Tukiainen, Responsabile della Ricerca presso la Climate Bonds Initiative.

Tra i partecipanti online, desidero prima di tutto presentare Francisco Javier Lopez, Sottosegretario all'Energia del Cile. Grazie mille per aver accettato di partecipare. E infine, Mark Cutifani, CEO di Anglo American. Grazie Mark per essere qui con noi.

Prima di iniziare la discussione, vorrei stabilire un paio di punti fermi in termini di opinioni che ho letto o di cui ho sentito parlare in merito a questo tema. E a dire il vero sarò un po' esagerato, in modo da ottenere un effetto maggiore.

A un'estremità dello spettro, ho letto in pratica che la soluzione di questo problema è destinata a costare una montagna di denaro. A incidere sui debiti pubblici. A incidere sugli utili societari. A esercitare un impatto sulle comunità locali. Ad avere effetti inflazionistici. E descrivere la cosa in altre parole è semplicemente sminuire la questione. Di conseguenza, una scettico puro si collocherebbe probabilmente a tale estremità dello spettro.

All'altra estremità, ho sentito dire che il meccanismo di finanza sostenibile crea una situazione che dovrebbe dimostrarsi vantaggiosa per tutti. Dovremmo riuscire a decarbonizzare. Dovremmo riuscire a evitare qualsiasi impatto sulle comunità locali. E dovremmo riuscire a offrire agli investitori rendimenti sistematicamente superiori.

Ora vi racconterò un episodio che mi è capitato un paio di mesi fa. Un socio di una società di consulenza manageriale mi ha detto quasi lo stesso in una riunione. E la prima cosa che mi è saltata in mente è stata: "sicuramente questa persone sta cercando di vendermi qualcosa". E circa 90 secondi dopo, è stato chiaro che in effetti stava cercando di vendermi qualcosa. Penso pertanto che la soluzione pratica, efficiente e attuabile si collochi da qualche parte nell'area grigia tra tali due estremi. Ed è proprio quest'area che esamineremo a fondo oggi.

Quanto ai temi che intendiamo trattare, il primo è una discussione sugli strumenti che abbiamo a nostra disposizione. Quali sono le soluzioni su cui in pratica dobbiamo lavorare? Il secondo è il costo. Dovremmo pensare a questo puramente in un'ottica di costi? Dovremmo pensarci da una prospettiva di opportunità? In entrambi i modi? Trovando una compromesso?

E infine la questione dei finanziamenti. Come pensiamo che ciò debba essere finanziato? Chi dovrebbe essere coinvolto? Esiste una normativa che deve essere adottata per agevolare tale processo? Ecco i temi che intendiamo affrontare oggi. Cosa ne dite, cominciamo?

Prima di tutto, Dottoressa Seega, potrebbe iniziare fornendoci un po' di contesto? E come dovremmo pensare alla questione? E in particolare, qual è l'elemento che rende i mercati emergenti una sfida così unica?

NS: Grazie mille. E ringrazio calorosamente tutti voi per la disponibilità a partecipare al panel odierno. Comincerò illustrando alcuni dati statistici e una ricerca che è stata in effetti pubblicata un paio di giorni fa dalla Cambridge University e dalla Exeter University.

Di fatto, in tutto il mondo, in uno scenario a zero emissioni nette, pensiamo di trovarci tra 11 e 14 trilioni di dollari di asset irrecuperabili o inutilizzabili (i cosiddetti "stranded asset"). Ciò equivale alla metà degli asset mondiali costituiti da combustibili fossili. Che diventeranno "stranded" entro il 2036. In tale scenario, non abbiamo altra scelta se non prendere in considerazione le opportunità di decarbonizzazione, sia nei mercati sviluppati che negli emergenti.

E sappiamo che la decarbonizzazione nei mercati sviluppati è molto più semplice perché è più facile investire in Europa in quanto i rating sovrani sono più elevati e nella regione vi sono progetti sostenibili interessanti. Ma in realtà, gran parte del lavoro da fare deve essere fatto nei mercati emergenti, il che è un po' più difficile.

Ed è più difficile per svariate ragioni. Ci troviamo dinanzi a progetti più piccoli, che sono più distribuiti e che di solito hanno rating creditizi leggermente più problematici. Tuttavia stanno emergendo soluzioni per affrontare tali problemi. Abbiamo banche multilaterali di sviluppo che stanno lavorando a questo problema.

Ma abbiamo anche progetti come The Green Guarantee Company, che è stata annunciata lo scorso martedì alla COP, che in pratica lavorerà per coprire il rischio sovrano legato agli investimenti in progetti dei mercati emergenti, con il supporto dell'FCDO (The Foreign, Commonwealth& Development Office) così come di compagnie di assicurazione e broker assicurativi.

Inoltre, quando pensiamo a questi investimenti, in Europa, in America, nei Paesi più sviluppati, parliamo di transition finance intendendo qualcosa di assolutamente connaturato e assolutamente necessario. Quanto ai mercati emergenti, la loro maggiore necessità è in realtà l'adaptation finance. Dobbiamo quindi pensare a soluzioni. Come combinare le cose? Come soddisfiamo la necessità di adaptation finance offrendo anche transition finance?

Un ultimo aspetto, ma assolutamente non meno importante, è che dobbiamo anche riflettere sulla bancabilità dei progetti sul campo. Dobbiamo lavorare con partnership locali per cercare di migliorare tale aspetto, i progetti finanziabili, ma anche i meccanismi di erogazione di tali finanziamenti ai mercati emergenti.

PL: Bene, grazie mille per l'intervento. Passiamo ora al Sottosegretario López. Per quanto riguarda il percorso del Cile verso l'energia pulita, vorrei che parlasse un po' delle diverse soluzioni considerate, delle valutazioni che avete fatto in merito al potenziale impatto sull'economia locale. Potrebbe illustrarci una panoramica generale?

FL: Grazie Paul. Vorrei iniziare ringraziando Janus Henderson per averci invitato a partecipare a questo evento di Investment COP26. Questo tipo di occasioni ci offre l'opportunità di condividere la nostra esperienza in materia di transizione energetica e di rivolgere a istituzioni private e pubbliche internazionali la proposta di collaborare alla gestione del cambiamento climatico.

Il settore energetico rientra nel problema del cambiamento climatico che stiamo affrontando, in quanto genera gran parte delle emissioni CO2 equivalenti. In Cile, il 77% delle emissioni di gas serra è riconducibile al settore energetico. Tuttavia, è proprio questo settore che ci aiuterà a gestire il cambiamento climatico offrendo opportunità sociali ed economiche.

Il settore energetico è al vertice del piano di decarbonizzazione in quanto ci siamo impegnati a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Ad aprile 2020, per prima cosa, il nostro Paese ha ampliato le ambizioni con un Contributo Determinato a Livello Nazionale aggiornato, che prevede un budget per le emissioni nel decennio 2020-2030, il raggiungimento del picco di emissioni entro il 2025 e la definizione di un obiettivo intermedio di emissioni per il 2030.

Per rispettare questi obiettivi, il Cile ha definito quattro percorsi complementari separati che supportano la decarbonizzazione della nostra economia. Pulire la nostra produzione di elettricità aumentando la quantità di energie rinnovabili. Dismettere le centrali elettriche a carbone entro il 2040.

Promuovere l'efficienza energetica principalmente tra i fornitori di veicoli per le costruzioni e le apparecchiature industriali, e sostituire i combustibili fossili con l'elettricità nel settore dei trasporti, con l'obiettivo di avere il 100% di veicoli - leggeri e medi - elettrici entro il 2035. Infine, sviluppare un settore di idrogeno verde.

Questo piano di decarbonizzazione si basa in parte sulle opportunità uniche che il Cile vanta. Siamo infatti un Paese ricco di energie rinnovabili dato che abbiamo uno dei migliori parchi solari nel nord del Cile e forti venti nel sud del Paese, grazie ai quali abbiamo un potenziale di produzione di elettricità rinnovabile di oltre 2.000 gigawatt. A tal fine abbiamo mappato i siti in cui è economicamente vantaggioso sviluppare energie rinnovabili.

Per fare capire l'entità del nostro potenziale rinnovabile, ricordo che supera di 80 volte l'attuale capacità iniziale del Cile. Le energie rinnovabili ci permetteranno di decarbonizzare elementi chiave attraverso la mobilità elettrica e idrogeno verde; si prevede infatti che fino al 27% delle riduzioni di emissioni richieste per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, possa derivare dall'uso di idrogeno verde in vari settori, mentre il 17% delle riduzioni delle emissioni sarà prevedibilmente raggiunto promuovendo la mobilità elettrica.

Il nostro obiettivo di conseguimento della neutralità carbonica entro il 2050 è una sfida, data la necessità di sganciare la nostra crescita economica dal consumo energetico e ridurre la nostra dipendenza dai combustibili importati. Tuttavia, il raggiungimento di tale obiettivo implica effetti economici positivi, espressi in benefici netti di 31,7 miliardi entro il 2050. Le opportunità di investimento rappresentano quasi 50 miliardi e le vendite per gli OEM (produttori di apparecchiature originali) ammontano a oltre di 80 miliardi di dollari.

Questi investimenti, con vantaggi economici per ogni investitore, non sono limitati al solo Cile, perché guarderemo a tutto il mondo. Secondo il World Energy Outlook 2021, elaborato dall'Agenzia Internazionale per l'Energia (AIE), è necessario un catalizzatore internazionale per incrementare gli investimenti in energia pulita; consentire al mondo di conseguire emissioni nette zero entro il 2050 richiede inoltre un aumento degli investimenti legati alla transizione verso l'energia pulita dai livelli attuali a circa 4 trilioni (USD) annui entro il 2030.

PL: Bene, grazie mille per le sue osservazioni. Ora diamo la parola a Cutifani. Desidero farle una domanda simile, ma ovviamente dal punto di vista di chi si occupa degli asset. Avete deciso di concentrarvi sulla decarbonizzazione della flotta. Come avete pensato di modellizzare tale processo? E come siete giunti a dare la priorità a questa rispetto alle altre opzioni che avrete probabilmente preso in considerazione?

MC: Va bene. Grazie mille per l'opportunità e ovviamente la domanda. Credo che la decarbonizzazione della flotta sia stata uno degli elementi chiave. Credo che una breve spiegazione di come siamo arrivati a ciò possa illustrare meglio il contesto. In primo luogo, abbiamo iniziato a lavorare sulla nostra strategia FutureSmart Mining, riguardante il miglioramento della nostra posizione competitiva nel 2013/2014.

Abbiamo identificato che dovevamo ridurre il nostro consumo energetico di circa il 30% per migliorare davvero la nostra posizione competitiva. Abbiamo esaminato la produttività come insieme complessivo di elementi. Ma essendo l'energia una parte della nostra strategia di miglioramento, si trattava di ridurre le impronte, aumentare l'intensità della nostra produzione e diminuire il consumo energetico modificando le nostre modalità di estrazione e trattamento del minerale.

Il settore lavora infatti allo stesso modo da 100 anni. Le apparecchiature sono solo diventate più grandi. Ci siamo detti che ci serviva semplicemente trovare soluzioni molto più intelligenti. Il primo passo è stato chiederci: come ridurre il nostro consumo energetico del 30%? E siamo circa a metà del percorso di miglioramento dei nostri costi operativi. Questo è stato il primo punto.

Passiamo al secondo. Ritenevamo che le rinnovabili offrissero una base di costo decisamente migliore e più bassa, a lungo termine. Abbiamo quindi iniziato a cercare di istituire collaborazioni nell'area delle rinnovabili. Oggi le energie rinnovabili destinate alle nostre attività globali sono il 36% della nostra principale fornitura di energia rinnovabile. Ed entro il 2023, il 56% della nostra energia in ingresso deriverà da fonti rinnovabili, principalmente in Sud America.

Ma abbiamo anche una strategia a lungo termine in Sudafrica, che prevede la totale dipendenza entro il 2030 dalle rinnovabili, da fonti eoliche, idriche e attraverso alcune tecnologie innovative in cui l'acqua sotterranea è utilizzata come batteria, essenzialmente impiegando energia rinnovabile, energia solare ed eolica, nei periodi non di punta. Estraiamo l'acqua mediante pompaggio e poi la lasciamo riscendere. In pratica è il meccanismo di una batteria ad acqua.

Ora, il fatto di avere vecchie miniere sotterranee profonde che sono piene d'acqua ci offre una grande opportunità di essere innovativi e usare ciò che abbiamo, una risorsa costosa da mantenere, come elemento che crea un valore reale.

Fare in modo che tutte le nostre fonti di energia entro il 2030 siano rinnovabili significa quindi occuparsi delle apparecchiature diesel, apparecchiature mobili. Ci siamo detti, ok, l'idrogeno ci sembra l'opzione migliore per decarbonizzare le nostre flotte di produzione. E così la componente idrogeno della strategia è l'elemento riguardante le nostre flotte di produzione, che rappresenta circa il 20% della nostra generazione di gas carbonio.

Abbiamo esaminato le ricerche condotte e siamo approdati a un sistema ibrido con batteria a idrogeno che ci consente di continuare a gestire con flessibilità le miniere. Possiamo così evitare di utilizzare questi grandi carrelli assistiti da funi o i dispositivi chiamati supercondensatori. Siamo in grado di mantenere la massima flessibilità nella miniera utilizzando il sistema ibrido con batteria a idrogeno e possiamo usare le rinnovabili per assicurarne in pratica l'alimentazione. Questo è il percorso che abbiamo intrapreso.

Sistemeremo il primo autocarro a idrogeno da 290 tonnellate in una cava all'inizio del prossimo anno in Sudafrica. Inoltre abbiamo promesso ai nostri partner cileni che avranno anche loro lo stesso autocarro nel corso dei prossimi due anni. Vogliamo quindi coinvolgere il Sudamerica, il Cile in particolare e il Sudafrica nel nostro percorso cosicché nel periodo 2024-2034 tutti i nostri autocarri siano completamente sostituiti con sistemi ibridi con batteria a idrogeno alimentati dalle nostre fonti energetiche rinnovabili primarie.

PL: Bene. La ringrazio infinitamente per quanto ci ha illustrato. A questo punto signora Tukiainen, da una prospettiva finanziaria, quali tipologie di trend di emissione osserva? E può anche darci qualche idea dell'efficacia?

KT: Sì, assolutamente. Ringrazio, anche da parte di Climate Bonds, Janus Henderson e gli altri responsabili dello staff per averci consentito di partecipare a questo evento. Per chi non lo sapesse, siamo un'organizzazione non a scopo di lucro dedicata a mobilitare i mercati dei capitali di debito verso le soluzioni climatiche, e a farlo disciplinando il mercato tramite standard, ma anche raccogliendo dati in merito. Spero quindi di avere qualcosa da dire su questi dati statistici.

Inizio facendo riferimento ai commenti della Dottoressa Seega e ai suoi, Paul, sull'enorme mole di capitale necessario per realizzare questa transizione. Abbiamo già una piccola mole, credo, circa 2,5 trilioni di dollari in termini di volume in circolazione, di obbligazioni verdi, sociali, di sostenibilità, ecc., tutte le obbligazioni tematiche. E circa il 20% di questo capitale è dei mercati emergenti, il che è un'ottima notizia. E tale percentuale cresce costantemente nel tempo.

In proposito desidero elogiare specificamente il governo del Cile, perché è il maggiore emittente di obbligazioni GSS, o Green Social Sustainability, al di fuori della Cina. E l'abbiamo usato come case study di ingresso di successo nei mercati internazionali dei capitali, con emissione in valuta sia forte che locale nell'ambito di questo programma.

In sintesi direi, riservandomi poi di fornire alcuni dettagli, che in effetti il segmento obbligazionario ha già buone definizioni e meccanismi di governance potenzialmente soddisfacenti per assicurare che questi progetti che vengono finanziati, e sono stati citati qui anche dalla prospettiva di Anglo American, stiano effettivamente generando il tipo di impatto che devono avere. È l'era travolgente della positività: è questa l'idea che vorrei trasmettere oggi al panel e al pubblico.

PL: Bene. Ancora una volta, grazie per le osservazioni. Quanto alla fase successiva della discussione, ovviamente molti di noi operano nei servizi finanziari e parleremo molto dei mercati dei capitali. Ma prima di farlo, desidero porre al Sottosegretario López una domanda sulla politica del governo.

Ed è qualcosa a mio giudizio molto importante. Una preoccupazione che nutro, o potrei addirittura parlare di autentica paura, è che sebbene la maggiore attenzione al ruolo che i mercati dei capitali possono svolgere sia molto costruttiva e fosse assolutamente necessaria, rispetto al livello di attenzione che osservavamo circa cinque anni fa, il mio timore è che tale attenzione rischi di diventare un po' miope e iniziamo a convincerci che i mercati dei capitali possano essere l'unica soluzione al problema.

E oserei dire che, in assenza di una politica governativa coordinata che i mercati dei capitali possono contribuire a facilitare, avremo problemi. Non vorrei proprio che ci trovassimo in uno scenario in cui tutti ci congratuliamo per gli ottimi risultati raggiunti sui mercati dei capitali e nel frattempo scoprirci con l'acqua alle ginocchia perché in realtà non abbiamo risolto il problema sottostante.

Sottosegretario López desideravo chiederle se potesse illustrarci la sua opinione, da una prospettiva di programma politico, circa quelle che a suo giudizio sono le migliori soluzioni. Un programma fiscale? Un programma di sussidi? Cosa pensa dell'intera gamma di strumenti disponibili sul fronte politico?

FL: Grazie, Paul. Il governo ha un ruolo chiaro da svolgere nella transizione energetica in quanto dovrebbe creare il quadro necessario in materia di sviluppo sostenibile di progetti, concependo al contempo innovazioni operative per sviluppare e implementare le nuove tecnologie necessarie e plasmare la collaborazione internazionale per raggiungere i nostri obiettivi climatici.

In tale ottica, l'Alliance Chile ha definito politiche e piani e istituito la collaborazione pubblica e privata e un quadro di diversi meccanismi di partecipazione per tutti gli stakeholder quali società civile, mondo accademico e imprese. Per esempio, abbiamo sviluppato un piano di eliminazione graduale del carbone, che consente la ricombinazione della nostra rete elettrica in una più rinnovabile.

Questo piano rappresenta una sfida imprenditoriale per il settore energetico perché questa tecnologia fornisce circa il 40% del nostro mix di generazione. Entro la fine di quest'anno, avremo ritirato quasi il 30% della capacità di carbone che avevamo nel 2019 ed entro il 2025 avremo dismesso il 65% della capacità di carbone che avevamo nel 2019. Questo è un esempio.

Un altro esempio del ruolo del governo è il recente lancio della National Electromobility Strategy, il cui obiettivo è delineare le azioni che il Cile deve intraprendere nel breve e medio termine per accelerare la transizione verso emissioni zero e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050; uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2035 è, per esempio, che il 100% dei veicoli leggeri e medi venduti sia a emissioni zero. Lo stesso vale per i nuovi trasporti pubblici. E lavoriamo costantemente per stabilire gli standard di efficienza, un'altra area.

Un terzo esempio è l'idrogeno verde, perché l'idrogeno verde svolgerà un ruolo importante nella creazione di un'economia a emissioni nette zero, integrando la sostituzione dei combustibili fossili in cui l'elettricità non è altrettanto competitiva o efficiente. E il Cile, come ho già detto, è uno dei Paesi più adatti a produrre questo combustibile.

Abbiamo lavorato per stabilire una strategia e fissare gli obiettivi per il prossimo anno; abbiamo preparato tutti gli scenari operativi e il Paese a sfruttare tutto il potenziale di questo vettore di energia pulita che abbiamo nel nostro Paese, con l'obiettivo, per esempio, di avere una capacità di elettrolisi di 5 gigawatt in fase di sviluppo e in costruzione entro il 2025, nonché di essere tra i primi tre maggiori esportatori di idrogeno verde per il 2030.

E in tale ottica, stiamo implementando una strategia a idrogeno verde per posizionare il Paese come fonte di energia pulita che promuove e instaura relazioni. Per esempio, abbiamo firmato un MOU (memorandum d'intesa) con Singapore e un altro con il Porto di Rotterdam. In effetti abbiamo firmato un altro paio di accordi la settimana scorsa. E stiamo creando tavoli di lavoro allo scopo di esplorare l'aumento della domanda non soddisfatta di idrogeno verde.

E devo dire che intraprendere tale tipo di cambiamento richiede il mercato dei capitali... altrimenti sarebbe impossibile conseguire i nostri obiettivi climatici. Ciò nonostante affermo, in modo più ottimistico che timoroso, che è la partecipazione dei mercati dei capitali alla transizione energetica, cioè il settore privato, che sostiene principalmente gli investimenti necessari nella transizione energetica. E questi investimenti sono in continuo aumento.

PL: Bene. Ancora una volta, grazie per l'intervento. Dottoressa Seega, oltre a chiederle commenti in proposito, vorrei anche approfondire un po' la questione. La maggior parte degli economisti con cui parlo è chiaramente del parere che una tassa sul carbonio sia di gran lunga la soluzione più efficiente a questo problema. E spesso esprimono frustrazione per il fatto che non sia stata ancora applicata. La prima domanda è quindi: quale potrebbe essere lo strumento a suo giudizio più efficace? Da cui consegue la seconda domanda, e cioè perché non abbiamo compiuto maggiori progressi su un tema così semplice come una tassa sul carbonio?

NS: Sono tre le domande in proposito. Vi è il contesto politico, poi vi è lo strumento migliore e quindi la tassa sul carbonio. In primo luogo, per quanto riguarda il contesto politico, penso ovviamente che la politica conti, altrimenti non saremmo qui riuniti oggi. Ci occuperemmo di capitali monetari. Abbiamo bisogno di NDC (National Determined Contributions, contributi determinati a livello nazionale). Abbiamo bisogno di NDC molto più ambiziosi, perché definiranno i piani di transizione.

Ma la politica è un meccanismo abilitante. La politica non è l'elemento trainante in molti casi. E penso che vi illustrerò un esempio che ho un po' sfacciatamente rubato a Janet Pope di Lloyds (Banking Group), tratto dal colloquio che abbiamo avuto con il CISL venerdì. Parlava della transizione nel settore automobilistico.

E parlando con i responsabili bancari, circa la fase di preparazione all'eliminazione graduale delle auto a benzina, la conversazione verteva su una domanda: quali sono i valori residui di tutti questi veicoli elettrici? Cosa facciamo al riguardo? Dopo la scadenza del 2035, da un giorno all'altro, la conversazione verterà su un'altra domanda: ma che ne è dei valori residui di tutte quelle auto a benzina? Cosa ne facciamo?

Abbiamo quindi un disperato bisogno della politica come meccanismo di supporto, come meccanismo abilitante. Abbiamo bisogno di una regolamentazione finanziaria per le istituzioni finanziarie. La regolamentazione finanziaria è un fattore fondamentale. E a tal fine, abbiamo bisogno delle banche centrali e che tutto questo confluisca nei meccanismi di vigilanza di tutto il mondo.

A mio parere comunque, la questione non è tanto trovare uno strumento politico perfetto per regolare le nostre azioni, bensì utilizzare ogni singolo strumento politico disponibile, ogni tipo di incentivo possibile. Possiamo parlare della tassa sul carbonio. Possiamo parlare degli adeguamenti del carbonio alla frontiera che l'UE sta introducendo. Possiamo parlare della fissazione dei prezzi del carbonio interni, in pratica valutando quali saranno gli effetti di tali progetti nei prossimi x anni.

Si può parlare dell'adozione dell'approccio blended finance, di migliori meccanismi di convogliamento di tutto quel denaro nei mercati emergenti, nonché di collaborazioni in sostanza fondamentali in tutto il segmento. Penso pertanto che si tratti di una combinazione di fattori anziché di un unico elemento salvifico.

PL: Molto bene, grazie. Passiamo ora a Cutifani. Vorrei parlare un po' della decisione da voi presa di scorporare le miniere di carbone termico in Sudafrica e quotarle sulla borsa locale. Penso si tratti di un caso interessante, cui è possibile guardare in due modi. Da una parte un'ottica cinica e dall'altra la convinzione che abbiate preso tale decisione per consentire al modello di corporate governance nei mercati locali di gestire direttamente la transizione.

E non esiste nessuno più consapevole dei compromessi tra generazione di energia, occupazione, ecc. di chi vive effettivamente in Sudafrica. Potrebbe quindi dirci come avete concepito tale operazione, come ci siete arrivati e possibilmente quale reazione avete osservato da parte degli investitori globali e anche locali?

MC: In primo luogo, quando parliamo di montagne di denaro, vorrei sottolineare che nel nostro percorso in termini di rinnovabili a oggi e, prevediamo, al conseguimento del nostro input del 56% entro il 2023, saremo stati già ripagati di tutti i cambiamenti negli investimenti che abbiamo compiuto per arrivare a quel 56%. Quindi dal nostro punto di vista, economico, di posizione competitiva, la cosa giusta da fare.

In Sudafrica, vediamo una tesi economica ampiamente giustificata per muoverci nella stessa posizione a causa dell'economia, dell'affidabilità, dei costi operativi unitari del sistema che stiamo sottoponendo al governo. Per quel che ci riguarda è quindi una questione economica, senza tenere conto dei crediti di carbonio.

Ora, un'eventuale fissazione del prezzo del carbonio è utile al nostro business case. Ma dal nostro punto di vista, se riusciamo ad arrivarci abbastanza velocemente ed essere autonomi in modo abbastanza rapido e capire come gestire il tutto, penso che si tratti proprio di una forte tesi economica.

E certamente, nei mercati emergenti, dove i sistemi elettrici probabilmente non sono altrettanto ben sviluppati, credo che la tesi a favore delle energie rinnovabili possa essere alquanto convincente. A mio giudizio è un punto davvero importante da sottolineare. Abbiamo iniziato questo percorso nel 2016 e nel nostro caso ha funzionato molto bene.

E quando si ha a che fare con governi come quello del Cile, che cerca di essere costruttivo e offrire supporto, vi è un'ampia gamma di altre modalità con cui i governi possono aiutare. Per esempio, il fatto che il governo sudafricano abbia modificato la politica riguardante le centrali private da 100 megawatt, rappresenta un grande cambiamento per noi in Sudafrica.

Penso quindi che vi siano molti modi di cambiare le cose e che non ci si debba limitare al carbonio. Concordo pertanto con il commento circa l'ampia gamma di aspetti politici che possono essere davvero importanti. Ritengo però che le aziende debbano darsi da fare e cercare le soluzioni giuste. Dobbiamo far parte della soluzione.

In tale contesto, avrei preferito mantenere le nostre miniere di carbone termico ancora per qualche anno. Non una gran parte del nostro portafoglio. Meno del 4% del nostro EBITDA (utili al lordo di interessi, imposte e ammortamenti), quindi non granché. Avevamo risorse che avremmo potuto portare a esaurimento probabilmente a metà del 2035. Tuttavia, avevamo anche alcuni azionisti molto grandi che dicevano, guardate gente che non possiamo investire nella vostra società se operate nel settore del carbone, e quindi abbiamo dovuto procedere agli scorpori. Pertanto la realtà era che, per il 3% del nostro portafoglio, avremmo perso alcuni dei maggiori investitori del mondo solo perché non potevano investire in combustibili fossili.

Ora, se gli investitori avessero detto, guardate, potete investire solo in aziende responsabili in termini di transizione energetica, ciò probabilmente avrebbe fatto la differenza. La scelta non aveva quindi un impatto consistente sulla nostra base patrimoniale, e comunque una minore durata degli asset, che probabilmente avremmo in ogni caso ceduto entro cinque anni, il che rientra nel nostro turnover di portafoglio naturale, ma nel momento in cui alcuni dei maggiori azionisti dicono che non possono detenere le azioni della società, la decisione diventa facile.

Il giorno in cui abbiamo ceduto, il valore delle nostre azioni è salito di 1,5 miliardi per una serie di asset che valgono da 500 milioni a 1 miliardo. E da quando sono state quotate, le azioni Thungela sono aumentate quasi del 200%. Si è pertanto trattato di una cosa vantaggiosa per tutti. E come ho detto, nel nostro caso il mantenimento degli asset era disincentivante o causa di dissinergie.

Ciò che abbiamo fatto è stato inoltre piuttosto diverso. Abbiamo scorporato gli asset e il fatto che il prezzo sia salito segnala qualcosa riguardo all'azionariato. Avevamo ricevuto offerte in contanti per il ramo d'azienda, ma tali offerte non ci soddisfacevano perché chi le aveva presentate avrebbe fatto ricorso al debito. E non ci piaceva l'idea che gli asset finissero a un'azienda altamente indebitata perché in tal caso gli obblighi ambientali sarebbero stati probabilmente compromessi. Di conseguenza abbiamo effettuato lo scorporo lasciando all'impresa liquidità netta.

Avevamo inoltre un ottimo team di cui ci fidavamo, che comprendeva i valori e le strategie ambientali da noi sostenuti ed era stato predisposto un piano operativo e di chiusura che era stato fissato nell'ambito di tale strategia. Ci eravamo consultati con il governo, con le comunità locali, con i dipendenti. E a nostro parere la transizione era giusta.

È stato il risultato migliore? Penso che sia stato il secondo miglior risultato perché a mio avviso, grazie al nostro bilancio e alla nostra capacità, avremmo potuto portare avanti l'attività in modo più equilibrato e sicuro per una serie più ampia di stakeholder. Ritengo però che abbiamo trovato la seconda migliore opzione assicurandoci che tutti i nostri stakeholder gradissero il modo in cui abbiamo scorporato gli asset.

E il governo è stato soddisfatto che si sia trattato di un'entità quotata in quanto la responsabilità pubblica è rimasta molto chiara e aperta a tutti gli stakeholder. Abbiamo quindi compiuto tale percorso. Il feedback è stato molto positivo su entrambi i fronti. Ma penso ancora che sia stato il secondo miglior risultato.

KT: Posso fare un'osservazione su...

PL: Sì.

KT: Alcune affermazioni di Cutifani. Prima di tutto penso che abbiate fatto la cosa giusta al momento giusto, alla luce del meccanismo di Just Energy Transition annunciato - direi - questa o la scorsa settimana e sostenuto dal governo del Regno Unito e da altri, consistente in un impegno di 8,5 miliardi di dollari per aiutare il Sudafrica a dismettere gli asset a carbone. Ben fatto, quindi, anche in relazione ai vostri obiettivi di zero netto, incluse le emissioni Scope 3 a zero entro il 2040. Buona fortuna. Ottimo.

Ritengo però che questo riconduca a un paio di aspetti riguardo a meccanismi basati su politiche e mercato che possono funzionare in tandem in termini di identificazione di investimenti credibili in grado di generare il tipo di impatto di cui abbiamo bisogno per decarbonizzare, soprattutto nei mercati emergenti.

Il primo, su cui abbiamo tenuto una serie di workshop, anche nel quadro di questo evento, è che le aziende illustrino strategie di zero netto chiare e si assicurino che siano credibili in quanto coprono gli Scope da 1 a 3, in funzione del tipo di settore in cui operano. Gli investitori sono intelligenti. Sanno come ricercare questi elementi.

Il secondo, su cui sta attualmente lavorando anche il governo sudafricano, oltre ad altri Paesi, è una tassonomia, ossia un sistema di classificazione che aiuti a illustrare e identificare gli asset e i progetti idonei, anche ai livelli più bassi, come ha osservato prima la Dottoressa Seega.

Ritengo che ciò sia davvero fondamentale perché quel tipo di meccanismo di classificazione, ammesso che riusciamo ad armonizzarlo in una misura tale da non comportare o non aggiungere ulteriore complessità a un mercato già frammentato, può essere alquanto utile, per garantire che il capitale confluisca proprio dove deve confluire, perché possa essere utilizzato da qualsiasi operatore sui mercati finanziari, incluse le autorità di regolamentazione.

E questa settimana ne abbiamo osservato un esempio, ossia la prima misura di armonizzazione tra l'UE e la Cina, la Common Ground Taxonomy (Tassonomia di Base Comune), uno sviluppo davvero fondamentale per assicurare che il capitale possa fluire dalle nazioni sviluppate alla Cina, che a tutti gli effetti è ancora decisamente un'economia di frontiera, nonché in altre parti del mondo. Questa è l'osservazione che desideravo fare come prima cosa.

NS: Vorrei aggiungere un breve commento. È anche un ottimo esempio di engagement, perché in pratica abbiamo una dimostrazione della notevole capacità degli investitori di indurre le imprese ad attuare la transizione. Posso fare una domanda provocatoria?

PL: Siamo qui per questo.

NS: Fantastico. Va bene. Ecco la mia domanda provocatoria. Quando avete riflettuto sugli scenari di dismissione di tali asset, avete in effetti prospettato una loro chiusura?

MC: No, e spiego perché. Il governo ha chiarito che eravamo gli amministratori dei loro asset, che gli asset non erano nostri, appartenevano alla nazione del Sudafrica e che avevano bisogno del reddito generato da quel carbone per sostenere le comunità e/o mantenere le centrali locali in funzione. Ha aggiunto che se avessimo deciso di non sviluppare il contratto di locazione o gestirlo, avrebbero assunto direttamente il controllo per gestirlo.

Questo è stato chiaro sin dall'inizio, data la dipendenza del Sudafrica dal carbone. Ora la questione della transizione cambia probabilmente la situazione. Ma in quel momento, la cosa era molto chiara. Non spettava a noi decidere di chiudere le miniere. Avremmo dovuto restituire le risorse al Paese.

NS: È un caso davvero interessante. Perché avevamo condotto un'analisi degli scenari ambientali in Sudafrica. E il Sudafrica è una regione geografica assolutamente meravigliosa e fondamentale, dove esistono straordinarie esigenze di transizione, enormi problemi di Transizione Giusta, in pratica un monopolio sulla generazione elettrica con combustibili fossili, ma pure l'eventualità che, anche qualora il resto del mondo raggiungesse un riscaldamento di due gradi, in alcune aree del Sudafrica ne sarebbero raggiunti quattro. La posta in gioco non potrebbe essere più elevata. Si tratta quindi di una discussione davvero interessante.

PL: Io in effetti…

MC: E tra l'altro (il governo) ha dimostrato un notevole supporto all'approccio da noi adottato e uno straordinario apprezzamento per la nostra strategia di rinnovabili per il Paese, l'energia eolica, e la strategia per il Paese nel suo complesso. Era in pratica alla ricerca di soluzioni, ma anche molto protettivo nei confronti dell'attuale base economica. È infatti una transizione difficile per il governo. Mi scuso, non volevo interrompere.

PL: No, ci mancherebbe. Volevo solo dire che forse sarebbe opportuno allacciarsi le cinture di sicurezza. Penso che probabilmente parleremo di questo tema ancora per un po' e desidero porre un paio di ulteriori domande in merito. Dottoressa Seega, stava parlando della chiusura o della pressione in termini di engagement per disinvestire.

E molti dei colloqui che ho avuto da quando sono arrivato qui si sono concentrati sulla reazione iniziale di tanti investitori in merito al supporto della transizione nel cambiamento climatico, che semplicemente non ne vogliono sapere. Non vogliono gli asset manager che detengono posizioni necessariamente nei settori ad alta intensità di carbonio.

Ma varie volte ho anche sentito una prospettiva diversa, ossia che se vogliamo riuscire a facilitare la transizione e trovarci in un mondo in cui le luci non si spengono, si può proporre una tesi piuttosto convincente secondo cui le società energetiche avranno bisogno di più investimenti in futuro di quanto ne abbiano avuto in passato. Come fare quindi a far quadrare tale cerchio?

NS: È davvero interessante. Perché, da un lato, se guardiamo allo scenario zero netto dell'AIE, non dovremmo assolutamente lanciare nuovi progetti in termini di carbone e combustibili fossili. Dovremmo pensare a effettuare la transizione abbandonando il carbone il prima possibile. E credo che il mio grande interrogativo...

Quindi la dismissione ha uno straordinario potere di segnalazione. Il mio interrogativo in merito alla dismissione è: a chi cedere gli asset? Abbiamo pensato alle possibili conseguenze della chiusura degli asset? Abbiamo visto l'annuncio dell'ADB (Asian Development Bank) riguardante gli asset di combustibili fossili e come intende acquistarli, accelerare i rimborsi dei prestiti e quindi procedere alla chiusura. Questo è un approccio alla questione.

Oppure si cedono gli asset a operatori? Che è il tema su cui verte il nostro dibattito, ossia chi li possiede, come li gestisce, qual è la corporate governance, possiamo vedere… Quali sono gli standard ambientali in base ai quali saranno di fatto gestiti?

L'altro interrogativo che in pratica mi pongo in questa situazione è che abbiamo parlato di abbandono degli asset e mi sembra in proposito che non si parli degli obblighi e dei costi relativi all'abbandono degli asset (i cosiddetti "Asset Retirement Obligations", o ARO). Di conseguenza, anche in questo dibattito in cui stiamo parlando di numeri in tema di abbandono degli asset, di fatto non teniamo conto dei costi del loro abbandono. Ciò esercita ulteriori pressioni finanziarie sul sistema.

Penso che ciò cui continuiamo a mirare sia un'azione concentrata sull'attuazione di piani di transizione credibili e sulla dismissione di tali asset il prima possibile, e su una loro conversione in asset più rinnovabili. In alcune aree geografiche abbiamo inoltre disservizi di rete, il che significa che è più economico chiudere tali asset e creare al loro posto un asset rinnovabile anziché continuare a farli funzionare. Quindi questo serio scambio di opinioni sul fatto che è fondamentalmente antieconomico gestire alcuni di tali asset è necessario.

PL: Ok, grazie. E infine, tornando al punto cruciale dell'impostazione iniziale, Sottosegretario López, ero solo curioso della sua reazione su... Parliamo di una società conglomerata che sta valutando l'eventualità di prendere asset ad alta intensità di carbonio e di consegnarli al meccanismo di corporate governance nell'economia locale. Qual è la sua opinione in merito? A suo giudizio si tratta di una buona strada o presenta sfide?

FL: Come ho detto, per il Cile l'implementazione del programma di neutralità carbonica non è importante o proficuo per la nostra economia solo per questioni ambientali, ma anche per questioni economiche. Il programma del Cile significa… vantaggi netti superiori a 31,4 miliardi di dollari entro il 2050.

E quanto alla prima parte della domanda, durante lo scorso anno il settore energetico in Cile è riuscito a mantenere la leadership in termini di intensità degli investimenti nel 2020 e nel 2021 stando ai diversi report; inoltre, è stato dimostrato dal report Climatescope Bloomberg, che ha riconosciuto il Cile come il Paese più interessante per gli investimenti in energie rinnovabili, con un afflusso di oltre 14 miliardi di dollari di investimenti in progetti rinnovabili.

Stiamo inoltre mettendo in atto svariati strumenti politici per sostenere la transizione energetica, dando rilievo ad alcuni di essi, gli obiettivi a breve e medio termine alla base delle nostre azioni e dell'impegno di investitori, sviluppatori, autorità di regolamentazione e società civile.

Penso che il governo abbia un ruolo chiaro sul fronte della regolamentazione in termini di sviluppo di normative chiare, stabili e aggiornate, dei mercati e di questioni di sicurezza per ridurre l'incertezza e accelerare i progetti, anche partecipando allo sviluppo della catena del valore per consentire la creazione di servizi per il segmento manifatturiero allo scopo di acquisire maggiori quote di valore di mercato a livello nazionale.

PL: Bene. Grazie per le osservazioni. Resisterò alla tentazione di fare un'ulteriore domanda in merito, perché a un certo punto potremmo aver bisogno di ordinare una pizza. Passiamo quindi al tema successivo. Signora Tukiainen, vorrei parlare di parte del finanziamento del debito che possiamo collegare alla transizione, e in particolare del tema del greenwashing. Penso che una preoccupazione di alcuni investitori sia che gran parte delle aziende possa trovare qualche area del loro problema di spese in conto capitale che possa entrare in questo framework.

KT: Sì.

PL: Potremmo quindi trovarci in una situazione in cui si concedono finanziamenti meno onerosi a un business model che non sta effettuando la transizione. A quel punto si pone la questione se un investitore sia adeguatamente compensato per un profilo di rischio che in effetti non sta cambiando. A questo proposito, a suo giudizio a che punto siamo in termini di maturità?

KT: Ancora una volta molte domande. Prima parlerò probabilmente della questione prezzi. Esiste il cosiddetto greenium ossia premio verde, vale a dire un costo di finanziamento minore per un emittente di un'obbligazione verde. Ma in effetti l'abbiamo osservato in modo costante solo nelle obbligazioni verdi sovrane dei mercati sviluppati, in particolare in Germania, che ha costantemente evidenziato lo sconto maggiore suoi green bond. Questo è quindi un aspetto.

Tuttavia, credo sia estremamente correlato anche alla credibilità complessiva della strategia di transizione dell'emittente, in questo caso un Paese sovrano. Apprezzo davvero il quadro cileno anche perché il Ministerio de Hacienda, ossia il Ministero delle Finanze, ha istituito un piano di finanziamento della transizione, in mancanza di un termine migliore. Non so quale sia l'espressione esatta in spagnolo.

Penso pertanto che ci siano molti investitori già informati che sappiano cosa cercare. Ma dobbiamo ancora lavorare in termini di razionalizzazione di tale approccio per renderlo un quadro realmente accessibile sul fronte finanziario, e in particolare su quello degli acquisti, per dire, cos'è che appare positivo nel contesto della transizione?

Abbiamo compiuto progressi. Come CBI, avendo svolto questo lavoro negli ultimi dieci anni, siamo sempre stati fermamente convinti che chiunque possa e debba emettere obbligazioni verdi se dispone degli asset necessari. Questo è il modo di far avanzare il mercato e segnalare che esistono già investimenti verdi. E il mercato obbligazionario di per sé è sostanzialmente un meccanismo di rifinanziamento, per cui possiamo parlare diffusamente di addizionalità nel contesto dei singoli green bond.

Ma l'elemento interessante ora è che aziende come Anglo American in industrie potenzialmente problematiche o settori in cui le dismissioni sono quanto meno dispendiose e difficili sul piano tecnico, siano arrivate al punto di riflettere e dire: bene, come porto le mie emissioni Scope 3 a zero? In alcune è già in atto una gran mole di buon lavoro su questo fronte, sotto la guida della Transition Pathway Initiative, dell'ACT, di varie altre organizzazioni, del CISL, della nostra, mi piace pensare.

Ma il prossimo passo è concordare qualche genere di accordo armonizzato, non un Sacro Graal, per ogni cosa. Stiamo comunque compiendo progressi in tale direzione anche sotto forma di informative, quale l'annuncio ISSB (International Sustainability Standards Board) di questa settimana e così via. Possiamo pertanto farcela. Può tradursi in minori costi di capitale. Ma dobbiamo guardare alle entità come tali nel loro insieme e ai piani nel contesto del traguardo cui dobbiamo arrivare nel quadro AIE e nel quadro IPCC.

PL: Bene, grazie. Vorrei quindi sapere cosa ne pensa Cutifani. L'ultima volta che ho verificato, avevate circa 10,2 miliardi di dollari di debito non garantito. Avete mai pensato alle obbligazioni classificate come soluzione per sostenere le vostre spese in conto capitale?

MC: Sì. Stephen, il nostro CFO e il team stanno pertanto valutando un'intera gamma di opzioni in termini di potenziali aree d'intervento. E ciò che ci ha davvero appassionato è il grado di interesse attuale: la gente ci contatta, parla del nostro processo di ristrutturazione dell'attività che ha fatto scendere i nostri costi operativi unitari. Il concetto di batteria ad acqua, per il quale abbiamo trovato finanziatori perché è un'applicazione di energia verde.

Gli autocarri a idrogeno, che chiamiamo New Gen, anche in questo caso, una serie diversa di investitori. Abbiamo, e non lo citerò per nome, ma parlo di un grande fondo pensione in Sudafrica, e dalla descrizione probabilmente capirete quale sia, che ha detto, guardate, non abbiamo abbastanza investimenti infrastrutturali disponibili, in particolare di questo tipo, nel Paese. Se possiamo supportarvi a livello di strategia per le energie rinnovabili, i parchi eolici sulla West Coast o sulla East Coast, o l'energia solare o la batteria, prendeteci in considerazione, perché altrimenti non possiamo adempiere ai nostri mandati.

E così che si tratti di investimenti verdi o investimenti nazionali in infrastrutture necessarie per costruire l'economia, ogni giorno siamo contattati da persone che dicono, guardate, possiamo proporvi questa o quella operazione. Sì, assolutamente, ora ci viene proposta un'intera gamma di accordi e strumenti finanziari per supportarci in queste aree.

E per noi, tutto questo ha avuto a che fare con il posizionamento competitivo, il miglioramento della nostra attività e i progressi per raggiungere la neutralità carbonica il più rapidamente possibile. È tutto estremamente logico sul piano economico. E a nostro avviso, mettere in atto tali strumenti d'investimento non potrà che migliorare continuamente la nostra attività. In conclusione, sì, stiamo proprio portando avanti tale discorso.

PL: Bene. Grazie. Dottoressa Seega, ciò ci riporta teoricamente a una precedente fase della discussione, ma c'è un aspetto che, al fine di trasformare questo in un successo, i mercati sviluppati devono in effetti affrontare con un gigantesco libretto degli assegni e staccare un assegno per un grosso importo per evitare che gli impatti sul PIL dei mercati emergenti siano per loro insostenibili. A suo giudizio questa è una descrizione accurata della situazione?

NS: In teoria. Penso che ci siano… ok. Come posso descriverlo nel modo migliore possibile? A mio avviso abbiamo un problema fondamentale nel senso che dobbiamo pensare a meccanismi di finanziamento decisamente migliori per consentire la transizione nei mercati emergenti, che si trovano dinanzi a sfide completamente diverse.

Anche noi dobbiamo far fronte a sfide. L'Europa deve affrontare sfide a livello di adattamento. Forse non nella stessa misura, ma abbiamo già visto gli eventi, gli eventi estremi emersi in Germania. Abbiamo osservato eventi estremi in Canada. Ritengo pertanto che sì, dovremo finanziare i mercati emergenti in misura decisamente maggiore di quanto abbiamo fatto in passato.

L'altro punto, di cui in realtà non abbiamo parlato affatto, qui in Europa, stiamo lentamente ma sicuramente, con numerosi sussulti, andando verso uno scenario post-COVID. Stiamo quindi superando la pandemia. Stiamo parlando di ripresa. L'Africa non è nella fase post-COVID. È in pieno COVID.

Non possiamo aspettarci che un'enorme mole di risorse e finanziamenti sia destinata a questi problemi senza che sia affrontata la questione dell'equità dei vaccini. Se guardiamo alle statistiche del FT, notiamo che i Paesi sviluppati hanno fatto un numero di richiami di vaccini maggiore del totale di prime e seconde dosi somministrate nelle nazioni meno sviluppate.

Se un Paese sta ancora lottando con il COVID, e ha un'economia sostanzialmente informale basata sul fatto che le persone si presentano fisicamente sul luogo di lavoro, e non ha iniziato a risolvere questi problemi, è fondamentalmente molto difficile pensare alla transizione verso un futuro a zero netto. Dovremo pertanto pagare di più, ma anche lavorare su altri meccanismi per consentire ai mercati emergenti di intraprendere questo percorso in modo molto più strutturale.

KT: Posso fare un commento in proposito? Non potrei essere maggiormente d'accordo, su tutti i fronti. Un case study interessante... E probabilmente comincio a sembrare un disco rotto con queste obbligazioni, ma pazienza.

NS: È il suo lavoro.

KT: È il mio lavoro. È scritto sull'etichetta e sapevate a cosa andavate in contro.

PL: Sì. Sì. Come ex responsabile obbligazionario, sono proprio d'accordo con lei.

KT: Grazie. Un'obbligazione SDG (Sustainable Development Goals, Obiettivi di Sviluppo Sostenibile), la prima del genere della Repubblica del Benin in Africa, investitori primari, una serie di… Beh, la Banca Mondiale tramite l'IFC (International Finance Corporation), ma ha anche collaborato con l'UNEP FI (United Nations Environment Programme Finance Initiative) e un paio di altre entità, per assicurarsi in primo luogo di sapere cosa fare in termini di capacità effettiva di identificare asset, progetti, attività, investimenti da incorporare in tale obbligazione.

Ma anche che è legittimo, agli occhi della comunità internazionale degli investimenti, poter accedere ai mercati internazionali dei capitali. E l'emissione è stata effettuata in valuta forte per questo motivo. È andata benissimo. Questo è solo un esempio di ciò che possiamo fare in pratica in questo momento.

Penso anche al Green Investment Fund, guidato dagli Stati Uniti, ma cui aderiscono anche Regno Unito, Giappone e varie altre nazioni sviluppate: proprio questa settimana è stato annunciato un nuovo fondo anch'esso finanziato con obbligazioni, per sfruttare i rating creditizi più elevati, che la Dottoressa Seega ha citato all'inizio, delle nazioni sviluppate che forniranno un finanziamento iniziale equivalente a 500 milioni di dollari USA ai Paesi meno sviluppati per lo sviluppo di infrastrutture basate su energie rinnovabili e che potrebbe poi arrivare a un totale massimo di 50 miliardi di dollari.

E parliamo di 100 miliardi. Quella è la metà. E ho parlato di 2,5 trilioni all'inizio. Ciò è decisamente risolvibile, ma richiede molta collaborazione in termini di cooperazione tra le istituzioni giuste e quindi di elaborazione di tali definizioni. E quella è ovviamente la parte difficile perché, in effetti, sono certa che la maggior parte di noi qui concorda sulla scienza del clima. Ma in termini di ammissibilità degli asset e delle attività, in particolare la questione del gas come carburante di transizione è molto controversa.

Penso però che possiamo farcela. Questo punto della Common Ground Taxonomy (Tassonomia di Base Comune) ne dimostra la fattibilità, anche con un'economia estremamente top-down come la Cina. Nella UE è ora stata trovata tale base comune. Penso pertanto che questo sia un segnale davvero positivo indicante che ciò può essere attuato anche altrove.

PL: Bene. Grazie per le osservazioni. Volevo fare una domanda ai partecipanti che si sentono di rispondere. E sarò un po' irriverente. Questa è una domanda che non ho preannunciato. Così tutti sgraneranno gli occhi. Ma sono proprio curioso di vedere la reazione d'impulso.

Quando parlo con gli analisti tradizionali del credito e dell'azionario, che analizzano gli emittenti in questi mercati e nei mercati sviluppati, e si affronta la questione del supporto alla transizione, un ostacolo in cui ci si imbatte spesso è che hanno la spiccata tendenza a guardare alla cosa in termini di VAN (valore attuale netto).

E se una società alloca capitale aggiuntivo o proventi a cambiamenti tecnologici inizialmente, nei primi due anni o nella fase intermedia, i rapporti prezzo/utile sembrano soffrirne. E bisogna essere pazienti e aspettare di superare tale fase. Ciò nonostante, Cutifani lei ha in effetti parlato di uno scenario in cui le cose non sono andate così e ciò non mi è affatto sfuggito.

A suo giudizio cosa serve per impostare tale analisi tradizionale in modo diverso, trasformare l'argomento in un tema positivo per il VAN cosicché l'analista azionario medio in sede di riflessione cominci a dire, però, il VAN migliora se le aziende iniziano a dare priorità agli investimenti in questo segmento ora?

KT: Posso iniziare.

PL: E noi…

KT: Mi scusi Cutifani. Gli asset manager devono essere seri riguardo ai loro impegni in tema di zero netto e iniziare a tenerne conto nei loro calcoli del VAN. Aberdeen ha tenuto un workshop su questo tema ieri, basato su alcuni degli scenari dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), ma anche sulla grande organizzazione chiamata The Inevitable Policy Response, per dire, questo è l'importo di cui il vostro portafoglio azionario sarà penalizzato se non fate nulla in merito all'enorme esposizione energetica tradizionale che detenete. Questo è un modo di affrontare la questione.

PL: Di conseguenza invece di pensare alle valutazioni di base che abbiamo oggi...

KT: Sì.

PL: Bisogna pensare rapportandosi con tale tipo di scenario.

KT: Sì.

PL: Bene.

KT: Io personalmente lo farei. E consideratemi una persona radicale se volete, ma penso che rientri nel dovere fiduciario. E abbiamo bisogno che le autorità di regolamentazione dei mercati finanziari impostino la questione proprio in tale modo. Ma lo si potrebbe fare anche oggi.

PL: Bene. Cutifani, vedo che ha alzato la mano.

MC: Sì e intendo essere molto attento a come imposto la cosa. Ma se avessi ascoltato alcuni dei nostri azionisti e i mercati nei primi due anni, non avremmo recuperato e portato l'azienda a diventare il performer più brillante negli ultimi otto anni. In qualità di Chief Executive, una persona deve guardare oltre i prossimi uno o due anni e prendere seriamente decisioni sugli elementi che spingeranno l'azienda verso il successo a lungo termine.

E per trovare la formula con cui esprimere il nostro oggetto sociale, ossia "rimodulare l'estrazione mineraria per migliorare la vita delle persone", abbiamo impiegato 18 mesi, con 100.000 persone, per discutere di queste sette parole. In effetti, avevamo iniziato con un numero molto più elevato. Siamo arrivati a sette parole e tutti ci credono. E oggi, quando parlo di rinnovabili, ammetto che abbiamo guadagnato su quello che abbiamo fatto finora, ma ci sono alcuni investimenti a cui puntiamo. Quella è la strategia di energie rinnovabili per il Sudafrica, i nostri autocarri a idrogeno.

Possiamo sicuramente registrare un rendimento per la strategia in energie rinnovabili in Sudafrica, ma al momento la nostra trasformazione degli autocarri a idrogeno probabilmente incide negativamente per circa 1 miliardo in termini di VAN. Ma questo non ci fermerà. E la ragione è che riteniamo che sia la cosa giusta da fare. In realtà contribuisce a creare una rete infrastrutturale più ampia che ci consentirà di connetterci con le nostre comunità in modo molto diverso. E questo è davvero importante, soprattutto nei mercati emergenti. Offre a Eskom una soluzione a un problema che non è riuscita a risolvere per 30 anni.

Pensiamo quindi che, entro il 2030, sarà un ottimo investimento su base netta. E nei prossimi 18 mesi lavoreremo a soluzioni che ci permetteranno di passare da una posizione negativa di 1 miliardo di dollari a ben più che un VAN positivo. Per ottenere tale rendimento potrebbero però servire tre o quattro anni. Questo è ciò per cui vengo pagato e non mi dispiace affermare che abbiamo qualche divario sotto questo aspetto, ma lo colmeremo. Tuttavia ci serviranno un paio d'anni. Collaboreremo con i partner.

Ma la nostra azienda esiste da 104 anni. E la ragione per cui esistiamo da 104 anni è che non abbiamo mai preso scorciatoie. Abbiamo intrapreso percorsi di lungo periodo. E penso che abbiamo dimostrato di saperci impegnare a raggiungere obiettivi difficili. In generale, i nostri azionisti hanno offerto un discreto supporto e negli ultimi otto anni abbiamo offerto agli azionisti un rendimento del 18% su base annua. Grazie al fatto di non aver preso scorciatoie. Abbiamo intrapreso la strada a nostro avviso appropriata. E confido che continueremo a prendere tali decisioni giuste.

Di conseguenza, se si desidera diventare un partner della comunità, ci si deve comportare come tale. Ed è così che abbiamo avanzato le nostre proposte. Riscontriamo un paio di lacune in ciò che stiamo facendo, ma siamo in grado di trovare soluzioni per colmarle. Ci vorrà tuttavia un po' di tempo e siamo pronti ad assumerci questo impegno. Perché le comunità e i governi si fidano di noi. Collaboriamo con il governo sudafricano. Dobbiamo far parte della soluzione. E a mio avviso è così che si creano collaborazioni a lungo termine.

Collaboriamo inoltre con il governo del Cile sulla questione idrogeno e il governo è stato fantastico. In Sudafrica abbiamo contribuito alla lotta contro il COVID, vaccinando il 60% dei nostri dipendenti e delle loro comunità locali, rispetto a una media nazionale del 30%. A mio giudizio, per fare funzionare le cose bisogna essere presenti, collaborare e pensare in un'ottica di lungo termine. E le soluzioni esistono.

PL: Bene. Dottoressa Seega, sembra desideri esprimere un commento. E poi vorrei aggiungere una cosa.

NS: Cercherò di essere davvero concisa.

PL: Dobbiamo esaminare ancora una cosa in pochissimo tempo. Proceda, mi scusi.

NS: No. Cercherò di essere molto concisa. Penso che vi sia una differenza fondamentale tra il modo in cui la comunità della scienza del clima concepisce il mondo e il futuro e il modo in cui la comunità finanziaria ed economica li concepisce a sua volta. Ho trascorso metà della mia carriera nel settore dell'investment banking e del rischio. Ho vissuto la crisi finanziaria dell'investment banking. E non sentivo parlare d'altro che di VAR, (Value-at-Risk, valore a rischio) e ciò che vediamo è nulla al confronto.

Come comunità economica, crediamo pertanto che il mondo procederà in modo lineare, che il futuro replicherà in maniera molto simile ciò che abbiamo vissuto finora. La comunità della scienze del clima pensa a una transizione dirompente e parla molto più diffusamente di una transizione dirompente. Di conseguenza, come evolverà il VAN in un contesto di transizione dirompente rapida e non senza grattacapi?

PL: Bene. Grazie. Ottime osservazioni. Per tornare a noi tre qui seduti, volevo porre una domanda a ciascuno di voi a turno, ma temo che tecnicamente siamo fuori tempo massimo. Passiamo comunque al punto finale, in modo da essere certi di trattare compiutamente il tema di cui stiamo parlando: cosa vorreste che succedesse nel tempo rimanente in questa COP? E iniziamo da lei, signora Tukiainen.

KT: Non succederà in questa COP. Vorrei vedere una tassonomia globale. È ciò di cui abbiamo bisogno. Davvero, dobbiamo concordare le definizioni perché, a mio avviso, sono un elemento in grado di sbloccare tutte le parti del sistema finanziario in modo alquanto rapido, se sono ottimista. Forse alla prossima COP.

PL: Una tassonomia globale alla prossima COP. Bene, grazie. Cutifani, a lei la parola. A suo giudizio di cosa abbiamo bisogno?

MC: Guardi, sono incoraggiato da ciò che ho sentito. Siamo passati dal perché al come. E penso che sia un grande passo avanti. Congratulazioni quindi a tutti i soggetti coinvolti. È un grande progresso. A questo punto mi chiedo: in cosa consiste il come? La risposta sono le collaborazioni. E avete sentito tutti parlarne in un modo o nell'altro, di finanziamento o imprese.

Come realizziamo in pratica queste collaborazioni? E quindi come possiamo aggregare queste osservazioni e dare forma al come? Sono d'accordo, probabilmente alla prossima conferenza tali piani saranno oggetto di discussione ed esame. E auspicabilmente parleremo dei successi che abbiamo già raggiunto. Ritengo pertanto che ora sia essenzialmente una questione di come, e di come farlo insieme. È una questione di collaborazione.

PL: Bene, grazie. Sottosegretario López, qual è la sua opinione?

FL: Grazie. Sono d'accordo. E il coraggio è molto importante nella prossima fase, anche capire l'importanza che la discussione ha ora, avrà il prossimo anno, e la definizione di obiettivi molto ambiziosi per tutti i Paesi. E gli obiettivi devono essere commisurati o correlati all'importanza o alla parte dei doveri allo scopo di definire e rispettare tutti i diversi obiettivi che stiamo cercando di raggiungere.

E infine, il coordinamento e l'alleanza tra tutti coloro che hanno sottoscritto gli obiettivi e tutti i diversi Paesi del mondo per avere diversi modi di incentivare i finanziamenti, devono collaborare e avere il coraggio di definire tutti gli obiettivi che dobbiamo definire in questa COP.

PL: Bene, grazie. E infine Dottoressa Seega.

NS: Vorrei che fossero sottoscritti NDC molto più ambiziosi e che l'implementazione iniziasse il 15 novembre. Vi lascio un fine settimana, e poi... lo so, sono fatta così. Ma in effetti vorrei davvero che il come e l'implementazione iniziassero subito.

PL: Va bene. A questo punto, grazie mille a tutti e quattro i partecipanti e grazie anche a tutti voi per esservi uniti a noi oggi. Abbiamo esaurito il tempo a nostra disposizione e probabilmente dobbiamo chiudere qui.

Glossario

Leverage: The ratio of a company’s loan capital (debt) to the value of its ordinary shares (equity); it can also be expressed in other ways such as net debt as a multiple of earnings, typically net debt/EBITDA (earnings before interest, tax, depreciation and amortisation). Higher leverage equates to higher debt levels.

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Comunicazione di Marketing.

 

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Paul LaCoursiere

Paul LaCoursiere

Responsabile globale degli investimenti ESG


10 nov 2021